Manicomio religioso. I richiedenti asilo cinesi in Italia
In un lunedì afoso di luglio del 2015 si presentano allo sportello legale di A Buon Diritto Onlus due giovani donne cinesi. Attendono educatamente il loro turno e, con fare timido, si rivolgono all'avvocato e all'operatore legale presenti quel giorno. In realtà tentano di farlo ma da subito si scontrano con una difficoltà non da poco: la lingua. Lo sportello di A Buon Diritto è operativo dal 2010 e conta sulla collaborazione a titolo volontario di quindici avvocati esperti in materia di immigrazione e, nello specifico, di asilo. Oltre a operatori legali con molta esperienza "sul campo".
Ogni anno vengono ricevute centinaia di persone che provengono da paesi molto diversi tra loro, parlano lingue spesso sconosciute e si arrabattano con l'inglese o il francese. C'è anche chi, invece, di lingue ne parla più di dieci e si improvvisa come mediatore - meglio dire traduttore - con i propri connazionali. La realtà dello sportello è caotica, vivace, un laboratorio continuo dove si mettono in pratica nozioni già acquisite e se ne apprendono sempre di nuove. L'arrivo di due donne cinesi nel 2015 è stata un'assoluta novità, fino a quel momento l'Asia per noi era rappresentata dai pakistani, dagli afghani e dai bengalesi. Ecco perché quella visita ci ha trovate del tutto impreparate. Da subito lo strumento utilizzato fu google translator senza il quale sarebbe stato impossibile anche solo immaginare la loro richiesta. E le prime ad avere l'intuizione di adoperarlo sono state proprio loro, sintomo del fatto che a Roma non avevano molte alternative per comunicare.
La sorpresa arrivò quando sullo schermo apparve in italiano la frase da loro digitata in cinese, che diceva letteralmente "chiediamo un manicomio religioso". La prima reazione fu di ilarità, era chiaro che le due donne non avessero bisogno di uno psichiatra, ma spesso ci troviamo ad affrontare vicende di persone con disagio psichico che necessitano di cure specialistiche e accoglienza specifica. Per questo motivo la parola "manicomio" ci aveva fatto sorridere e non sembrava del tutto fuori contesto. Ben presto ci apparve chiara la loro reale intenzione: stavano chiedendo protezione per motivi religiosi e probabilmente la parola era stata tradotta dal cinese in asylum e da qui in italiano in manicomio.
Quello fu l'inizio della nostra attività con i richiedenti asilo cinesi e nel report si trova il materiale da noi raccolto nel corso di questi due anni nelle città di Roma e Milano. Da novembre 2016, infatti, abbiamo cominciato a seguire per la preparazione al colloquio con la Commissione territoriale anche persone residenti a Milano.