Pubblicato in 2022, Le notizie del portale a buon diritto il 14 giu, 2022
Caso Uva: dopo 14 anni ancora nessuna giustizia
Il 14 giugno 2008 moriva a Varese Giuseppe Uva, falegname di 43 anni.
La sera prima Giuseppe e un suo amico, Alberto Biggiogero, dopo aver guardato una partita di calcio e aver bevuto qualche bicchiere erano usciti in centro e avevano spostato alcune transenne per strada. Una pattuglia di carabinieri li aveva raggiunti e condotti in caserma con il supporto di sei poliziotti.
Dopo una notte in caserma all'alba Giuseppe viene portato in ospedale per essere sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio ma dopo poco ne viene constatato il decesso.
Quel giorno l’amico sporge denuncia per quello che sostiene essere avvenuto in caserma. Racconta di aver sentito le grida di aiuto e di dolore di Giuseppe intervallate dal rumore di colpi sordi. Dice di aver cercato di recarsi da lui ma di essere stato bloccato. Riferisce di aver chiamato il 118 dicendo all’operatore che in caserma stavano “massacrando un ragazzo” ma che nessuno è arrivato.
Le primi indagini, condotte dai pm Agostino Abate e Sara Arduini, partono con gravi lacune e si concentrano solo su quanto accaduto in ospedale ignorando del tutto la denuncia del testimone oculare, che verrà ascoltato solo cinque anni dopo i fatti. Per non aver indagato su quanto accaduto in caserma il pm Abate andrà incontro a due procedimenti disciplinari e alla fine gli verrà tolto il fascicolo delle indagini.
La prima inchiesta per la morte di Giuseppe Uva è per omicidio colposo e vede imputati tre medici del pronto soccorso e del reparto psichiatrico dell’ospedale di Varese. L’accusa è che i farmaci somministrati a Uva fossero incompatibili con il suo stato etilico e che l'unione di quei medicinali con l’alcol avrebbe causato un’insufficienza cardiorespiratoria e un conseguente edema polmonare terminale. La salma di Giuseppe Uva viene riesumata e la perizia evidenzia fratture e lesioni.
Dopo ulteriori indagini, nel 2014 due carabinieri e sei poliziotti vengono rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio preterintenzionale, percosse, sequestro di persona e abbandono di incapace, ma nel 2016 vengono assolti in primo grado. Nel maggio 2018 la Corte d'Appello conferma la sentenza di primo grado assolvendo gli imputati "perché il fatto non sussiste". Nel 2020 la Cassazione conferma l'assoluzione. A quel punto i familiari e gli avvocati di Giuseppe decidono di fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani.
Nel gennaio 2021 la CEDU ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati Stefano Marcolini, Fabio Matera e Fabio Ambrosetti. L’iter della decisione potrà essere ancora lungo e l’esito non è assolutamente scontato, ma intanto un primo passo avanti è stato compiuto.
Insieme al nostro presidente Luigi Manconi e alla nostra direttrice Valentina Calderone abbiamo seguito subito la vicenda di Giuseppe, entrando in contatto con la famiglia Uva e in particolare con sua sorella Lucia, che negli anni si è battuta per avere verità e giustizia e che ha dovuto subire menzogne, offese e omertà.
La storia di Giuseppe è raccontata anche nel libro "Quando hanno aperto la cella. Storie di corpi offesi. Da Pinelli a Uva, da Aldrovandi al processo per Stefano Cucchi" (2011) di Manconi e Calderone.
Oggi, quattordici anni dopo, continuiamo a ricordare Giuseppe e a raccontare la sua storia, e insieme alla famiglia Uva continuiamo a chiedere che venga ristabilita la verità e che sia fatta finalmente giustizia.