Pubblicato in 2017, Le notizie del portale a buon diritto il 11 ago, 2017

Lo strano caso delle richiedenti asilo cinesi in Italia

Lo strano caso delle richiedenti asilo cinesi in Italia | A Buon Diritto Onlus

cinesi

Internazionale, 11 agosto 2017

di Annalisa Camilli

Quando nel 2015, in un afoso pomeriggio di luglio, due donne cinesi hanno bussato allo sportello legale dell’associazione A buon diritto di Roma, gli operatori e gli avvocati dell’organizzazione si sono trovati per la prima volta davanti a una difficoltà che non avevano mai incontrato prima: comunicare in cinese.

Lo sportello legale, attivo nella capitale dal 2010, fornisce consulenza a centinaia di migranti e richiedenti asilo di diverse nazionalità e si avvale del contributo volontario di numerosi operatori, avvocati e mediatori, che tuttavia quel giorno non sapevano come essere d’aiuto. Dopo aver fatto la fila, le due donne, consapevoli della difficoltà linguistica, hanno timidamente tirato fuori dalla tasca un telefono cellulare e hanno suggerito di usare Google translate per spiegare agli operatori il motivo della loro visita.

Incuriositi dalla richiesta, gli operatori hanno deciso di assecondare la conversazione mediata dall’app del telefono, ripromettendosi di trovare in un secondo momento un interprete in grado di facilitare la conversazione. “Chiediamo un manicomio religioso”, era scritto nella schermata del telefono che una delle donne aveva mostrato, dopo aver digitato la frase negli ideogrammi della sua lingua.

“C’è voluto del tempo per decifrare quello che ci stavano dicendo”, spiega un’operatrice legale di A buon diritto. “In realtà abbiamo intuito che il traduttore di Google aveva trasformato la parola ‘asilo’ in ‘manicomio’, per qualche strano passaggio dall’inglese. Ci è venuto da ridere, perché ‘manicomio’ è una parola che in italiano non si usa quasi più. Per noi era la prima volta che due persone di origine cinese ci chiedevano aiuto per la loro domanda d’asilo”, continua.

In fuga da Pechino
Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), quello dei richiedenti asilo cinesi in Italia è un fenomeno nuovo e significativo: dal 2010 al 2015 il loro numero è quintuplicato. Anche i dati del governo italiano descrivono un fenomeno simile: negli ultimi due anni i richiedenti asilo cinesi sono aumentati del 400 per cento. “In termini assoluti il numero di richiedenti asilo cinesi è comunque basso rispetto ad altre nazionalità, ma l’aumento delle loro presenze è notevole”, spiega A buon diritto. “Noi ignoravamo completamente il fenomeno dei richiedenti asilo cinesi per motivi religiosi prima di quel luglio del 2015”, continua l’operatrice di A buon diritto. “E soprattutto ci stupì molto la motivazione religiosa di cui parlavano le due donne”.

Infatti avevano raccontato di appartenere a un movimento religioso in Cina e di essere scappate dal paese perché perseguitate dal governo di Pechino. Vivevano in una casa in affitto a Tor Pignattara, nella periferia di Roma, insieme ad altri connazionali, avevano lasciato le loro famiglie in Cina, ed erano molto spaventate, non volevano coinvolgere altri connazionali nella richiesta dell’asilo, nemmeno come mediatori o traduttori. Avevano paura che qualcuno avrebbe potuto denunciarle alle autorità di Pechino.

Dopo i primi due casi, dal settembre del 2015 sono cominciate ad arrivare allo sportello di Roma molte persone che denunciavano lo stesso problema. “Alla fine abbiamo ricevuto circa 70 persone, per lo più donne, di un’età compresa tra i 20 e i 40 anni e un solo uomo. Tutte dicevano di aver lasciato il paese per fuggire dalla persecuzione e ci chiedevano aiuto per presentare la richiesta d’asilo o il ricorso a un diniego dell’asilo”, conferma l’operatrice.

Secondo A buon diritto, che ha appena pubblicato un rapporto su questo fenomeno, tutti i casi presentano le stesse caratteristiche: “Sono arrivati in Italia in maniera regolare con il passaporto e con un visto turistico, con l’aereo. Non abbiamo mai registrato viaggi illegali per raggiungere l’Europa. La maggior parte di loro vive a Roma o a Milano. In tutti i casi le donne hanno pagato somme di denaro molto alte per acquistare il visto turistico da agenzie specializzate. Alcune hanno pagato addirittura diecimila euro. Infine tutte le richiedenti asilo denunciano di essere scappate per motivi religiosi, perché appartenevano a uno dei movimenti religiosi fuorilegge in Cina, uno dei quattordici evil cults (culti illegali)”.

Tra i culti più diffusi e più noti tra quelli professati dalle richiedenti asilo cinesi c’è l’Almighty God, fondato nel 1989 da Zhao Weishan. Secondo diverse fonti, si tratterebbe di un culto ostile al governo del Partito comunista cinese, chiamato dagli adepti “Great red dragoon”. Dopo il 2014, quando alcuni adepti della chiesa hanno organizzato un attentato in un fast food a Shandong, c’è stata un’ondata di arresti: nel giro di due anni sono stati documentati 1.500 arresti di persone sospettate di seguire questa religione.

“La libertà di culto è garantita dalla costituzione in Cina, ma poi ci sono questi culti che si discostano dalle religioni ufficiali e che sono perseguitati”, continua l’operatrice di A buon diritto. “Queste donne sono intercettate dalla polizia quando si riuniscono per pregare in piccoli gruppi, le portano in carcere e a seconda del ruolo che ricoprono subiscono delle violenze. Alcune ci hanno parlato di vere e proprie torture”, continua. Questo tipo di movimenti è molto attivo nel fare proselitismo – nelle piazze, nelle strade, nelle università del paese – e anche per questo per la polizia è molto facile individuare gli adepti e arrestarli.

Quando decidono di scappare, le persone che aderiscono a queste religioni non informano parenti né amici, perché temono di coinvolgerli e danneggiarli, spesso sono state già in carcere e hanno rifiutato di fare autocritica come vorrebbe il governo cinese. “Una donna ci ha raccontato di aver lasciato il figlio di 13 anni e di essersi allontanata senza avvertirlo, di non poterlo nemmeno chiamare, per paura di metterlo in pericolo”, dice l’operatrice. Molte di loro hanno lasciato dei figli a casa e ne soffrono molto, raccontano gli operatori.

In Italia arrivano senza una rete di amici e conoscenti e prima di chiedere l’asilo vivono in affitto nei dormitori a 10 o 15 euro al giorno, lavorano come commesse nei negozi gestiti dalla comunità cinese, o anche come collaboratrici domestiche nelle case dei connazionali. “In Italia, soprattutto a Roma, le donne si riuniscono e continuano la loro attività di preghiera, alcune si sono avvicinate alla chiesa valdese”, spiega l’operatrice. Nel 2015 anche a Milano è stato registrato un aumento dei richiedenti asilo cinesi, in parte perché con l’Expo è stato più facile per molti ottenere un visto turistico o di lavoro. A Milano molte richiedenti asilo si sono rivolte alla Casa della carità e al Naga.

Poche speranze
Le due donne cinesi che per prime hanno bussato alla porta dell’associazione romana, alla fine non hanno ottenuto l’asilo e hanno successivamente chiesto aiuto agli stessi operatori dell’associazione per presentare un ricorso in tribunale.

“A due anni dalla scoperta del fenomeno, continuiamo ad assistere le richiedenti asilo cinesi, ma molte si rivolgono a noi dopo il diniego ricevuto dalle commissioni territoriali”, spiega l’operatrice di A buon diritto. Infatti il tasso di rifiuto dell’asilo è molto alto, perché per le commissioni territoriali le testimonianze sono poco credibili o frammentarie. “Spesso è considerato contraddittorio il fatto che le donne abbiano conservato i propri documenti di viaggio e d’identità e non siano arrivate illegalmente nel paese”, spiega l’operatrice di A buon diritto.

“Tuttavia il visto e il passaporto sono ottenuti non attraverso la procedura ordinaria, ma attraverso reti informali e agenzie di viaggio ad hoc che richiedono cifre di denaro molto alte”, continua.

“Inoltre”, conclude l’operatrice, “molte richiedenti asilo sono più preoccupate di spiegare il loro culto durante il colloquio con la commissione territoriale, che di raccontare i dettagli della loro storia”. Se a questo si aggiungono le difficoltà di traduzione e la mancanza d’informazioni generali sulla situazione delle persecuzioni religiose in Cina, si spiega perché è così difficile che queste donne riescano a ottenere una forma di protezione.