Pubblicato in 2016, Le notizie del portale a buon diritto il 25 mar, 2016
Quella egiziana è una colossale menzogna. Offende tutta l'Italia
Huffington Post del 25 marzo 2016
di Luigi Manconi
Una sceneggiatura da film "poliziottesco" della seconda metà degli anni Settanta, che vedeva come protagonista Maurizio Merli e registi quali Umberto Lenzi e Fernando Di Leo ("La polizia ringrazia", "Città violenta", "I ragazzi del massacro", "Il poliziotto è marcio"...). È quanto vien fatto di pensare leggendo la trama efferata e scalcinata, grottesca e parodistica che il regime egiziano vorrebbe proporci come vera e risolutiva. E definitiva. Ovvero capace di dare un nome e un volto agli assassini di Giulio Regeni. I quali assassini, va da sé, risultano tutti infallibilmente morti e, dunque, altrettanti perfetti capri espiatori, fatti e finiti.
Una ricostruzione, quella fornita dalle autorità egiziane che non ci risparmia nemmeno il dettaglio - tanto prevedibile quanto farlocco - del ritrovamento, nella borsa di Regeni, di "un una sostanza scura, forse hashish". E perché non una bella pistola Glock nuova fiammante, e un certo numero di foto pedopornografiche?
E non crediate che stia esagerando: un particolare in apparenza insignificante la dice lunga non solo sulle fantasie pruriginose dei funzionari di regime, ma anche sui messaggi subliminali che si intendono inviare: sarebbero stati ritrovati alcuni effetti personali definiti "femminili" (un portafogli, un paio di occhiali da sole, un orologio) che sembrano richiamare quel colore, il rosa, che un testimone, poi rivelatosi falso, aveva attribuito alla camicia di Regeni.
Insomma, è accaduto esattamente ciò che era stato previsto. E ciò che i familiari di Giulio Regeni e i loro legali Alessandra Ballerini e Gianluca Vitale, avevano comunicato come propria preoccupazione già da tempo, e avevano ribadito nel corso dell'incontro con la Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. L'attribuzione del delitto, cioè, a delinquenti comuni e, di conseguenza, la riduzione della vicenda a un ordinario fatto di criminalità di strada e a una "questione privata". L'avvocato Ballerini aveva addirittura ipotizzato che, a venire indicati come responsabili, sarebbero stati poliziotti o ex poliziotti.
E qui la sceneggiatura scritta dal ministero dell'Interno egiziano ha come un soprassalto di fantasia: gli assassini non erano propriamente poliziotti, ma "da poliziotti" amavano travestirsi. Il quadro viene così, si fa per dire, completato. Come d'incanto, scompaiono i conflitti politico-sociali in corso in quel paese, scompaiono le pesanti e torbide relazioni tra regime dispotico, apparati statali e attività criminali a opera di settori delle forze di polizia; scompaiono le quotidiane violazioni dei diritti umani, perpetrate dal regime di Al- Sisi attraverso strutture ufficiali e strutture parallele e strutture illegali. E scompaiono gli scomparsi: quelle 88 persone che, secondo Amnesty International, nel corso del solo 2016 sono state rapite e precipitate nel nulla, tranne per quelle - 8 sul totale - che sono state ritrovate cadaveri.
E non emerge, al loro posto un movente credibile, una ricostruzione attendibile, una dinamica plausibile dell'accaduto e delle sue cause. Bensì l'ennesima falsa rappresentazione. Di fronte a una simile colossale menzogna, voglio richiamare quanto dichiarato nelle scorse settimane dal ministro degli esteri, Paolo Gentiloni: "Non accetteremo verità di comodo", e quanto affermato dal procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone : "Non abbiamo firmato alcuna cambiale in bianco". È in gioco una elementare e, allo stesso tempo, cruciale questione di giustizia nei confronti di Giulio, dei suoi familiari, dei suoi amici e sodali e di tutti noi. E, ancora, una elementare e allo stesso tempo cruciale questione di rispetto nei confronti dell'Italia e della sua sovranità: non si può accettare che un nostro connazionale venga ucciso e se ne continui a oltraggiare la memoria. A essere offesa è l'intera collettività nazionale.