Pubblicato in 2016, Le notizie del portale a buon diritto il 19 apr, 2016
Luigi Manconi: «La buona politica inizia dai diritti»
Da La Nuova Sardegna del 19 aprile 2016
di Costantino Cossu
Il libro intervista curato da Christian Raimo tra memoria politica e battaglie civili
Arrivi all’ultima pagina, chiudi il libro e capisci che se vuoi recensire “Corpo e anima”, l'intervista con Luigi Manconi curata dallo scrittore Christian Raimo appena pubblicata da minimum fax (232 pagine, 13 euro), non basterà dire qual è il modo che Manconi ha di intendere la politica. Certo, è questo, principalmente, lo scopo del libro. Ma è, diciamo, la facciata. C’è altro. Ci sono le architetture biografiche senza le quali la facciata non potrebbe reggersi. C’è, per uscire dalla metafora, un tratto di storia – personale e politica – di un pezzo di una generazione: i nati intorno al 1950, poco prima o poco dopo, che hanno provato a cambiare il mondo. E' ancora aperta, quella storia, ed è fatta di una materia densa, a volte dolorosa.
Dall’inizio alla fine. Ma cominciamo dalla facciata. «Chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari, abolire la contenzione meccanica nelle residenze sanitarie assistenziali, sottrarre i bambini alla detenzione in cella con le proprie madri e ottenere la possibilità di autodeterminazione per i pazienti irreversibili: tutto questo e altro ancora è politica. È politica dall’inizio alla fine. Dico di più: è elemento costitutivo della politica e sua ragione e legittimazione profonda». Così Manconi in uno dei passaggi del libro. Elemento costitutivo della politica è «evitare la sofferenza delle persone, di qualunque persona, a qualunque costo», difendere i diritti che tutelano la dignità e l’integrità degli individui, di qualunque individuo. E ancora: «Fatico a immaginare un’azione politica e un pensiero politico che muovano da una sostanza diversa rispetto al riferimento concreto, concretissimo alla fisicità del corpo umano. (…) I diritti sono qualcosa di terribilmente fisico».
Movimenti e riforme. La «fisicità del corpo umano» è il discrimine della capacità della politica di darsi un’anima, e cioè di mantenere vitale «un sistema di relazioni in cui gli interessi e i valori si integrano e coltivano una dimensione di mutualità e di vicendevole obbligazione». Nessuna cancellazione del conflitto, però. Al contrario: «Coltivo l’idea – argomenta Manconi – di una dinamica sociale fondata sulla sequenza: conflitto-mediazione-nuovo equilibrio. (…) Una sequenza che può anche essere ridefinita così: movimento-governo-riforma» . Dove si capisce bene che il luogo della politica, di una politica fondata sui diritti, sta nei termini mediani che compongono le due sequenze: mediazione e governo. Con il concetto di “riforma” che viene liberato dalle connotazioni truffaldine che circolano nel dibattito e nella prassi politica e giornalistica corrente, per essere ricondotto a un’interpretazione che ne fa il termine ultimo, lo sbocco, di un processo reale di mutamento sociale.
Classi e popoli. Perciò a chi, specie da sinistra, obietta che le contraddizioni fondamentali che alimentano il conflitto originano in una dimensione – economica e di classe – distante e diversa rispetto a quella dei diritti, Manconi replica che «l'emancipazione delle classi subalterne e l’emancipazione dei popoli sono state rese possibili, nelle varie epoche, grazie a un’idea universalistica ed espansiva dei diritti umani e grazie alla promozione delle dignità di ciascuno».
Le tre libertà. In maniera coerente a questa visione, fondamentalmente libertaria, la frattura fra destra e sinistra è da Manconi definita attraverso tre forme di libertà: «Libertà di lavoro, dove quel di richiama tutte le contraddizioni e i conflitti del rapporto o del mancato rapporto con il lavoro dipendente). Libertà personale (carcere, centri di identificazione e di espulsione, commissariati e stazioni dei carabinieri, ex ospedali psichiatrici giudiziari, servizi psichiatrici, luoghi di contenzione …) come tutela rigorosa dell'habeas corpus. Libertà di autodeterminazione (eutanasia, scelte di cura, fecondazione assistita, genitorialità, unioni civili) come affermazione di sovranità su di sé e sul proprio corpo».
Diritto debole. Libertà e insieme tolleranza: «Credo che le debolezze nell’agire individuale e collettivo – spiega Manconi – debbano essere affrontate con la serietà ma anche con l’indulgenza di chi sa che le relazioni umane sono condizionate dal male. E che per combatterlo laicamente, il male, si deve adottare un diritto mite, che sappia sanzionare ma anche mediare e conciliare. (… )In termini giuridici, significa perseguire solo i reati connotati da materialità e offensività e che ledano terzi o beni costituzionalmente protetti. In termini sociali, significa coltivare un’idea della vita collettiva non autoritaria e aggressiva, non punitiva e non rancorosa, non giustizialista e non disciplinare e, soprattutto, garantista». Compito non facile in società come quelle contemporanee, in cui la crisi dei grandi sistemi etici (della «morale di maggioranza», come la chiama Manconi) ha determinato non tanto un vuoto di senso e di valori, quanto il nascere di tante «piccole, parziali, approssimative e tuttora incerte e addirittura goffe morali di minoranza. Provvisorie e consapevoli di essere provvisorie. Morali, per così dire, “locali”: di comunità, di genere, di movimento, di cultura, di tendenza».
Piccole morali. E proprio qui sta la scommessa: «Se è vero che il relativismo delle morali di minoranza può diventare egoistico e corporativistico, è altrettanto vero che si può realizzare anche l'esatto contrario. (...) Il percorso sarà senza dubbio lento e accidentato, ma nulla esclude che proprio da questo ridefinirsi di morali parziali possa prendere forma un nuovo universalismo».
L’assalto al cielo. Come arriva Manconi a questa visione della politica? L’autore di “Corpo e anima”, che oggi è senatore del Pd oltre che presidente della Commissione di Palazzo Madama per i diritti civili, è stato uno dei dirigenti nazionali di Lotta Continua, capo del servizio d’ordine negli anni del movimento studentesco. E' passato attraverso l’ultimo tentativo che la Storia ha conosciuto di «dare l'assalto al cielo». Ha vissuto la sconfitta di un movimento di cui ha avuto modo di sperimentare, insieme con l’eccezionale vitalità e creatività, anche i limiti culturali e politici. Sono straordinarie – intense e a tratti commoventi – le pagine di “Corpo e anima” in cui Manconi fa i conti con quel passato. L’elaborazione della sconfitta avviene soprattutto attraverso il rifiuto della violenza, con il sequestro Moro a fare da spartiacque fondamentale tra il prima e il dopo; ma anche attraverso il rifiuto di una visione autoritaria della politica.
Salvare l’onore. E però se Manconi si attesta sulla linea estrema della «riduzione della sofferenza delle persone, di qualunque persona, a qualunque costo» non è soltanto perché il suo sguardo è rivolto al passato. C’è anche il presente. Contro lo spaventoso carico di dolore che un ordine del mondo ingiusto perché coercitivo e violento provoca senza tregua, non si può non prendere partito, anche se l’impresa a volte appare disperata: «Di fronte all’enormità delle tragedie del nostro tempo – conclude Manconi nelle pagine finali del libro – e alla povertà dei mezzi disponibili per evitarle, c’è da rimanere senza fiato. Io, tuttavia, sono stato sempre affascinato dalle parole pubblicate, nel 1961, dal primo numero della rivista Quaderni piacentini. Quasi un motto: “Limitare il disonore” .
Parole che danno per scontata, in quanto già verificatasi, la sconfitta. Ma senza rimuoverla e senza arrendersi a essa né subire il suo canone e accettare passivamente il senso di impotenza e depressione che comunica. In altre parole, fai ciò che devi e accada quel che può».
Una buona strada. Sapere di partire da condizioni di enorme svantaggio, o addirittura con la certezza che si sarà sconfitti, non cancella l’obbligo morale di dire no alla sofferenza e al dolore: nome per nome, persona per persona. I nati intorno al 1950 che hanno provato a cambiare il mondo saranno pure, come scrive Manconi,«quelli che non hanno fatto» («non hanno fatto la guerra, non hanno fatto la Resistenza, non hanno fatto il miracolo economico, non hanno fatto la rivoluzione»), ma molti di quei ragazzi – certamente tra questi Luigi – hanno salvato l’onore. E indicano, ancora, una strada. Una buona strada.