Pubblicato in 2016, Le notizie del portale a buon diritto il 11 ott, 2016
Legalizzare la cannabis
Da Lo Straniero del 10 ottobre 2016
di Luigi Manconi
"In ogni voce e proibizione avverto le manette forgiate dalla mente."(William Blake)
Se si dà credito alle opinioni favorevoli sul tema della legalizzazione della cannabis da parte di autorevoli rappresentanti istituzionali, l’impressione è che si tratti di una conquista ormai a portata di mano, o quasi. Negli ultimi tempi, infatti, le cose sembrano succedersi con sorprendente rapidità, se si pensa che fino a due anni fa una legge – la Fini-Giovanardi – equiparava la cannabis alle cosiddette droghe pesanti, portando in carcere migliaia di consumatori.
Dal febbraio del 2014, ovvero da quando la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità di quella normativa, molti passi avanti sono stati fatti e oggi si può dire che l’argomento della legalizzazione non rappresenti più una prerogativa esclusiva di movimenti antiproibizionisti, di militanti e scienziati, di radicali e tossicologi, ma sia entrato stabilmente nell’agenda politica. Il pronunciamento della Corte Costituzionale ha rappresentato, insomma, la rottura degli argini di un compatto proibizionismo di stato. Questo spiega com’è potuto accadere che lo scorso 25 luglio, per la prima volta nella nostra storia parlamentare, sia stato discusso dalla Camera un testo – sottoscritto da oltre duecento deputati – finalizzato a disciplinare la produzione, la vendita e il consumo di cannabis. Testo sul quale, nel giugno 2016, la Direzione nazionale antimafia ha dato “parere favorevole”, in quanto “la legalizzazione, se corretta mente attuata, potrebbe portare (…) a un vero rilancio dell’azione strategica di contrasto al narcotraffico e ai suoi effetti sulla salute pubblica sull’economia e sulla libera concorrenza”.
E un giudizio altrettanto autorevole è giunto da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione: “Fino a poco tempo fa ero assolutamente contrario all’idea della legalizzazione perché non mi convincevano gran parte degli argomenti. Adesso ho un po’ cambiato posizione: credo soprattutto che una legalizzazione intelligente possa evitare il danno peggiore per i ragazzi, cioè entrare in contatto con ambienti della criminalità.”
Infine, in questo flusso di ragionevoli pareri, si collocano le dichiarazioni di Felice Romano, segretario del Siulp, il più grande sindacato di polizia: “Quali risultati ha ottenuto il proibizionismo nel contrasto al traffico e al consumo di droghe leggere? Nessuno. Anzi: il consumo è aumentato e l’età dei ragazzi che ne fanno uso si è abbassata. Non solo: a fronte di un massiccio impiego di forze dell’ordine e alle risorse spese, non c’è stato nessun effetto.”
è fatta, insomma? Possiamo dire di aver archiviato il proibizionismo e di aver avviato una seria prospettiva che porti a misure – graduali, per carità! e caute, mi raccomando! – che sperimentino un regime di legalizzazione? Purtroppo, va detto, siamo ancora lontani da tutto ciò. è vero che il 25 luglio, alla Camera, la discussione sul testo è stata avviata, ma è altrettanto vero che potrebbe incontrare enormi difficoltà a proseguire e a raggiungere un esito positivo. Ed è ancora vero che sono oltre duecento i deputati che hanno sottoscritto il testo, ma questi rappresentano appena un terzo della intera Camera e altrettanto si può dire per il Senato. Certo, la discussione parlamentare può ancora modificare le opinioni e gli schieramenti, e tuttavia il percorso sembra ancora molto lento e accidentato. Soprattutto, è accaduto un singolare fenomeno: è come se il fronte proibizionista, agguerritissimo e armato fino ai denti, fosse stato preso alla sprovvista e si fosse rivelato incapace di contrattaccare (un simile linguaggio bellico è imposto dal fatto che il proibizionismo ha sempre fatto ricorso alla retorica marziale della cosiddetta “guerra alla droga”). Ma già le cose sembrano cambiare, già si avvertono le avvisaglie di una rinnovata restaurazione ideologica e già si sente dire che “ben altre sono le priorità” (economiche, sociali e perfino civili). E ciò che sembra manifestarsi e crescere è qualcosa di molto simile alla “grande bonaccia delle Antille”: l’irriducibile doroteismo caratteriale e culturale della mediocrità nazionale, il torpido perbenismo del progresso senza avventure e dell’opportunismo morale come filosofia dell’esistenza. L’intelligenza e la logica suggeriscono che non c’è ragione al mondo – sotto il profilo scientifico e sociale, giuridico e sanitario – per non prevedere per la cannabis un regime di legalizzazione.
Un regime, cioè, di regolamentazione della produzione, del commercio e del consumo di hashish e marijuana, all’interno di un sistema di vincoli e limiti, di tassazione e controllo. Ovvero, il medesimo regime al quale vengono sottoposte sostanze come alcool e tabacco, il cui abuso determina conseguenze assai più gravi ed effetti assai più nocivi di quelli prodotti dall’abuso di cannabis tra i consumatori in età adolescenziale.
Dunque, è difficile non vedere la ragionevolezza di una simile soluzione e, ancor prima, l’indifferibile necessità di una sperimentazione che vada in quel senso. E invece qui intervengono le remore più moralistiche e gli scrupoli della più untuosa doppiezza, come quelli che “ma l’alcool appartiene alla nostra tradizione culturale”. Insomma, la cirrosi epatica come patrimonio folklorico.