Pubblicato in 2016, Le notizie del portale a buon diritto il 03 ago, 2016
I canali ragionevoli per attraversare il Mediterraneo
Pagina99, 03-02-2016
Luigi Manconi
Comunità di Sant’Egidio, evangelici e valdesi hanno aperto un corridoio per i rifugiati. Un’iniziativa che vale per pochi, ma che può dire molto. Perché è utile.
Come sempre, lo slittamento linguistico tende sempre a segnalare un deficit di conoscenza. Tra un’infinità di esempi, mi limito a segnalarne uno dalle conseguenze particolarmente rilevanti. Nel linguaggio comune, e anche in quello pubblico-istituzionale, il termine xenofobia è manovrato con tanta irresponsabile superficialità da essere generalmente considerato un sinonimo di razzismo. Non solo – come è ovvio – non lo è, ma quello stesso sentimento-atteggiamento (la xenofobia) può avere un’ampia varietà di presupposti e di implicazioni.
Oggi, per esempio, sembra diffondersi una xenofobia che nasce in prevalenza dall’ansia (non a caso Zygmun Bauman ha parlato del formarsi di una “classe ansiosa”) per una “invasione” che appare incontrollabile. Xenofobia che, pur senza farsi necessariamente ostilità dichiarata, reclama politiche di respingimento «per il loro bene», perché altre politiche non sembrano possibili e perché il respingimento appare meno dannoso per gli stessi respinti di quanto possa esserlo un’accoglienza poco accogliente.
Sembra emergere, in altre parole, una sorta di “xenofobia democratica”: e, proprio per questa ragione, compito di chi non è xenofobo, e, più in generale, delle autorità pubbliche e delle persone assennate, è quello di dimostrare che l’accoglienza è possibile. Concretamente possibile. Alla resa dei conti, più utile e meno diseconomica della non accoglienza. Da questo punto di vista, le buone prassi possono giocare un ruolo cruciale. Qui ne racconto una.
Intervistato da Carlo Lania, sul manifesto del 4 maggio scorso, Francesco Piobbichi, esponente del Mediterranean Hope, ha detto: «Con i sei miliardi di euro che l’Ue ha dato alla Turchia si potrebbero portare in Europa tre milioni di rifugiati, tutti identificati, registrati e pronti per essere inseriti nelle nostre società». Queste parole illustrano bene il senso di un’iniziativa che, pur piccola nelle dimensioni numeriche, assume un significato esemplarmente istruttivo, fino a delineare una sorta di paradigma possibile per realizzare strategie di ampie dimensioni. Mi riferisco a quanto, con infinita tenacia, hanno iniziato a realizzare la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle chiese evangeliche italiane (Fcei) e la Tavola valdese.
Si deve a loro un progetto che prevede di utilizzare due milioni di euro, in larghissima parte provenienti dai contributi dell’8 per mille, al fine di realizzare un canale di accesso, legale e sicuro, che permetta l’arrivo in Italia per un certo numero di profughi. Il progetto è nelle sue fasi iniziali, e intende aprire alcuni corridoi umanitari a partire dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia.
Complessivamente è prevista l’accoglienza, nell’arco di un paio di anni, di un migliaio di profughi che grazie al rilascio di visti per motivi umanitari potranno entrare nel nostro paese. Il secondo gruppo di profughi è arrivato lo scorso 29 febbraio, ed è composto da 24 famiglie con 41 minori, tutti arrivati a Fiumicino direttamente dal Libano, dal campo profughi in cui erano ospitati dopo essere fuggiti dalla Siria. Il primo arrivo era avvenuto in gennaio e, tra i profughi, si trovava la famiglia di una bambina, Falak, con urgente bisogno di cure mediche.
Tutti questi ora dispongono di un visto temporaneo di un anno, nel corso del quale riceveranno la risposta per la loro domanda di asilo politico, presentata appena dopo l’arrivo. Ma come si è giunti a individuare questi richiedenti asilo tra le decine e centinaia di migliaia di altri, non troppo dissimili e comunque meritevoli di tutela? Le realtà associative e le chiese locali hanno fornito i nominativi, dopodiché sono state realizzate interviste con gli interessati e visite mediche. Poi le pratiche per il viaggio verso l’Italia.
Qui entrano in azione le strutture delle organizzazioni non governative e delle chiese, tra Trento, Aprilia, Torino, Reggio Emilia, Firenze e Roma. E si avvia il processo di accoglienza e di integrazione. Un progetto semplice e complesso allo stesso tempo, che rappresenta il primo esempio di corridoio umanitario finora attivato in Italia a seguito delle guerre mediorientali. Come ha detto ancora Francesco Piobbichi, l’iniziativa potrebbe essere utilizzata quale «strumento di pressione verso i decisori politici del continente perché scendano in campo finalmente con un canale umanitario a livello di Unione Europea».
Sia chiaro: la debolezza di quanto fin qui detto consiste – drammaticamente- nei numeri così esigui che interessa. Ma è altrettanto vero che la sua forza consiste nella sapientissima ragionevolezza del modello che propone. Tutti sappiamo che il passaggio dalle piccole misure a quelle, così ampie, richieste, non sarà mai l’esito di una semplice proiezione matematica. E tuttavia, quelle cifre prima citate vanno tenute a mente: ossia quante volte quei due milioni impiegati intelligentemente dalla Federazione delle chiese evangeliche e da Sant’Egidio stanno dentro quei sei miliardi investiti, non sappiamo quanto utilmente, dall’Unione Europea.