Pubblicato in 2015, Le notizie del portale a buon diritto il 28 lug, 2015
Lettere: il mio duello con Luigi Pagano
Ristretti Orizzonti, 28 luglio 2015
di Luigi Manconi (Senatore Pd)
Capisco che l'immagine possa risultare un po' enfatica (oltre che consunta per l'abuso che se ne fa), ma l'evocazione de "I duellanti" a proposito del mio rapporto con Luigi Pagano è davvero pertinente. Luigi Pagano, dopo una lunga carriera nell'amministrazione penitenziaria, che l'ha portato fino al ruolo di vice-capo, ora è tornato al lavoro in carcere. É diventato il provveditore regionale del Piemonte e riprende di conseguenza le sue funzioni a contatto diretto con i detenuti di una regione difficile. Insomma, ritorna "un po' più sbirro".
Ecco, anche se all'inizio forse se ne adonterà un po', quella è la parola giusta. Sbirro: perché Pagano, a differenza di molti (anche suoi colleghi) non è ipocrita. É franco e leale (oltre che suscettibile e incazzoso) e, dunque non ha mai finto di essere diverso da quello che è. Per capirci: non ha mai dato a intendere di essere un rivoluzionario che, condizionato dalle situazioni miserevoli del nostro Sud, è stato costretto a entrare nell'amministrazione pubblica e, in particolare in quella penitenziaria. Invece, che so, di iscriversi ad Architettura a Roma o al Dams di Bologna. No. Pagano ha scelto di fare il direttore di carcere: certo democratico, addirittura di sinistra, ma direttore di carcere.
E francamente non sarei voluto essere uno dei suoi detenuti quando era vicedirettore all'Asinara o a Badu e carros. Questo ha contribuito al nostro rapporto perché, sin dall'inizio, ha evidenziato le profonde differenze tra noi e reso più limpide e, allo stesso tempo, più intense e impegnative le relazioni tra noi. Per questo ho evocato "I duellanti".
Tutti conoscono la vicenda raccontata nel romanzo di Joseph Conrad, poi portata sugli schermi dal film di Ridley Scott. La storia è quella di due ufficiali dell'esercito napoleonico che si rincorrono per quasi due decenni, sfidandosi a duello ogni volta che le loro strade si incrociano, nelle varie tappe della guerra tra Francia e Gran Bretagna: da Strasburgo ad Augusta alla Russia. Una ostilità prolungata tanto a lungo da risultare,infine, un legame contraddittorio e indissolubile. Dunque, io ho duellato con Pagano quand'era direttore di San Vittore, poi Provveditore regionale della Lombardia, infine vice capo dell'Amministrazione penitenziaria a Roma. E ora mi accingo a duellare con lui, se necessario, a proposito dei detenuti di cui è direttamente responsabile, ovvero quelli reclusi negli istituti del Piemonte.
Il fatto è che io e Pagano siamo due riformisti: lui - com'è giusto che sia - un riformista cauto e prudente che ama l'istituzione e vi si identifica (anche quando la critica radicalmente); io sono un riformista extraistituzionale che ritiene necessario adottare un punto di vista estraneo al sistema e al linguaggio dell'amministrazione per introdurre in quella stessa amministrazione un po', giusto un po', di modeste riforme. É evidente che, al di là delle apparenze, i nostri punti di vista siano, per molti versi, coincidenti ma, per altrettanti, acutamente divergenti. Il che si deve, in primo luogo, al fatto che Pagano è - senza alcuna retorica - un servitore dello Stato consapevole di esserlo, con tutto ciò di buono e di cattivo questo possa comportare.
Ma voglio ricordare due esempi di vero e proprio riformismo che devono moltissimo a Luigi Pagano. Il primo è l'apertura a Milano di un Istituto di custodia attenuata per detenute madri, il primo in Italia, che rassomigliava a quelle case famiglia protette alle quali proprio in queste ore si sta lavorando (e, per una volta, sembra possa ottenersi qualche risultato). Il secondo esempio riguarda il carcere di Bollate, forse l'unico "davvero riformato" dell'intero circuito penitenziario italiano. Se quell'istituito rappresenta tutt'ora una grande esperienza trattamentale lo si deve a due persone: all'allora direttrice Lucia Castellano e a Luigi Pagano, all'epoca provveditore lombardo che lo "protesse" da mille attacchi e da mille contestazioni, che ne volevano la fine prematura. Se non è andata così il merito va riconosciuto ampiamente a Luigi Pagano. Adesso che inizia un nuovo percorso, gli voglio dire: non pensare di passarla liscia. Qui con la sciabola o con la pistola (ad acqua, va da sé), ti aspettiamo a piè fermo, per ricominciare il duello. Vinca il migliore.
Post scriptum. Forse tra le ragioni che hanno rafforzato il legame controverso tra me e Pagano c'è il fatto che, per entrambi, la canzone cult è "Guapparia".