Pubblicato in 2015, Le notizie del portale a buon diritto il 12 mag, 2015
Abolire il carcere, senza utopie, attraverso un piano praticabile
l'Huffington Post, 11-05-15
Luigi Manconi
Contrariamente a quanto si pensava, il nostro "Abolire il carcere. una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini" (pubblicato da Chiarelettere), ha suscitato certamente reazioni ostili e perfino contumelie, ma soprattutto interesse, interrogativi e curiosità. E nessuno scandalo, se non quello degli assatanati, che faticano ad arrivare all'ultima riga o anche solo al primo punto e virgola, e offendono già dopo aver scorso il titolo.
Possiamo dire, dunque, che l'elemento di "ragionevolezza" contenuto nel nostro testo sia stato colto da un buon numero di lettori (si veda, in questo sito, quanto ha scritto Francesco Lo Piccolo); e che la nostra, possa essere considerata una proposta concreta e razionale, per aprire una discussione priva di pregiudizi e di tabù. Che si sottragga sia alla retorica della provocazione - non c'è nulla di provocatorio nel nostro ragionamento - che alla suggestione dell'utopia. Si può partire, piuttosto, dalla constatazione che la crescente domanda di carcere, e la sua conseguente offerta che nutre e placa gli istinti giustizialisti, può essere interrotta. E questo non grazie a un fascinoso esercizio filosofico, bensì in ragione di un motivo tanto materiale da poter apparire gretto: il carcere proprio non funziona.
L'obiettivo della pena detentiva, infatti, dovrebbe essere quello di far sì che il periodo di carcerazione sia funzionale alla "rieducazione". Il che significa, in parole povere, mettere l'ex detenuto nelle condizioni di non delinquere più. Abbattere la recidiva, quindi, dovrebbe essere uno degli obiettivi misurabili dalle istituzioni che di carcere si occupano. E invece i dati su questo punto sono estremamente allarmanti: qual è il numero delle persone che, una volta finito di scontare la pena in carcere, tornano "dentro"? Quasi il 70 per cento. Questo basta a spiegare, a nostro avviso, la totale inutilità in un sistema che chiude, segrega, deresponsabilizza e non offre possibilità anche perché, e sono sempre dati ufficiali, le persone che invece accedono alle misure alternative al carcere hanno un tasso di recidiva del 20 per cento.
Nel nostro paese facciamo fatica ad accorgerci di questa evidenza, ma non dappertutto è così. In molti stati europei, infatti, la reclusione non ha l'indiscussa centralità che ha da noi. Se in Italia l'82,6 per cento dei condannati sconta la pena in carcere, in Francia e Gran Bretagna la percentuale scende al 24 per cento. Mentre la Svezia riesce a ottenere uno degli indici di recidiva più basso d'Europa (30-40 per cento nei primi tre anni) soprattutto attraverso il lavoro all'esterno e con pene non carcerarie. Non bisogna pensare però che chiedere meno carcere significhi fare un "favore ai delinquenti". A ben pensarci, è proprio il contrario.
Meno carcere significa più sicurezza per tutti noi, dal momento che chiedere il rispetto dei diritti umani dei detenuti, far sì che la loro pena sia riempita di istruzione, lavoro e opportunità oggi, significa limitare domani, per chi è fuori, il pericolo di incontrare ex detenuti aggressivi e pericolosi. Ed ecco allora il nostro decalogo, la ragionevole proposta per arrivare progressivamente e in modo efficace all'abolizione del carcere:
1) salvo per le violazioni più gravi di diritti e interessi fondamentali, depenalizzare tutto ciò che è possibile;
2) cancellare la "pena di morte occulta" (come Papa Bergoglio ha definito l'ergastolo) e ridurre le pene detentive;
3) diversificare il sistema delle pene, rendendo il carcere un'extrema ratio cui ricorrere solo nei casi di eccezionale gravità;
4) concentrare il processo penale su fatti realmente meritevoli di sanzione, anche attribuendo la capacità di estinguere il reato ad azioni (riparative, risarcitorie, ecc.) prestate dall'imputato in favore della vittima o della collettività;
5) ammettere la custodia cautelare solo in presenza di spiccata pericolosità dell'imputato, imponendo negli altri casi misure non detentive, di natura interdittiva, prescrittiva, pecuniaria;
6) potenziare al massimo le alternative al carcere, così da offrire a ogni detenuto una reale opportunità di reinserimento sociale;
7) garantire i diritti fondamentali dei detenuti e superare il "carcere duro" e i vari circuiti penitenziari differenziati;
8) umanizzare il carcere per quanto riguarda i luoghi e le funzioni che sopravviveranno alla sua abolizione;
9) mai più bimbi e minori in carcere: per questo alle madri di bambini sotto i 10 anni vanno riconosciuti sempre i domiciliari o l'assegnazione a case-famiglia e istituti analoghi;
10) dopo l'effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, si deve garantire che nei confronti degli autori di reato affetti da disagio psichico, le misure di sicurezza detentive siano sostituite con altre finalizzate alla riabilitazione e alla cura.
Come si vede, e come anticipato, nulla di meno provocatorio e di meno scandaloso. E nulla di utopistico. Piuttosto, un programma plausibile e praticabile per arrivare a "fare a meno del carcere".