Pubblicato in 2016, Le notizie del portale a buon diritto il 08 mar, 2016
I diritti dei bambini innanzitutto
Il manifesto del 3 marzo 2016
Luigi Manconi
Adozioni. Demandare a un’interpretazione, come tale soggettiva e mutevole, la sorte di un bambino e dei suoi affetti è un’abdicazione del diritto alla sua funzione di tutela dei soggetti più deboli
Non deve stupire che la questione della gestazione per altri susciti – al di là delle strumentalizzazioni più indecenti e delle banalizzazioni più sordide – una così intensa discussione pubblica. Il tema solleva, e non potrebbe essere altrimenti, dilemmi etici che rimandano alla sensibilità più profonda di ognuno. Dunque non sorprende tanta passione nel discuterne: semmai scandalizza un po’ tanta superficialità e assenza di delicatezza e di capacità e volontà di comprendere. Partiamo, ancora, da quello stralcio sull’articolo 5 sulle adozioni che ha reso monca una normativa, pur importante e positiva, quale quella che ha finalmente portato al riconoscimento delle unioni civili.
Ciò che abbiamo contestato è che in una legge a vocazione anti-discriminatoria si introducesse un dispositivo di sperequazione. Non solo e non tanto tra persone eterosessuali e persone omosessuali, bensì tra bambini destinati a essere adottati da coppie eterosessuali e bambini destinati a essere adottati da coppie omosessuali. Il loro superiore interesse, che – come afferma la giurisprudenza – non è legato alla forma del gruppo familiare in cui è inserito, ma alla qualità delle relazioni che vi si instaurano dipenderà, in questo modo, dall’orientamento giurisprudenziale che il giudice di volta in volta seguirà.
Demandare a un’interpretazione, come tale soggettiva e mutevole, la sorte di un bambino e dei suoi affetti è un’abdicazione del diritto alla sua funzione di tutela dei soggetti più deboli. Che impone, in questi casi, di scegliere l’adottante non in ragione del suo orientamento sessuale, ma dell’idoneità a svolgere la funzione genitoriale; e in funzione della qualità del legame stabilito con il bambino. Per questo trovo paradossale la proposta, avanzata in questi giorni, di vietare l’adozione del figlio nato da gestazione per altri. Se il fine è evitare lo sfruttamento della donna gestante, altre sono le strade da seguire: non certo privare il bambino del suo genitore (sia pur «sociale»), trasformando così un diritto fondamentale nel suo opposto: un divieto e facendo ricadere sui figli «le colpe dei padri». La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia proprio per aver sottratto il bambino alla coppia che lo aveva «concepito» con gestazione per altri, negando che il concetto di ordine pubblico (incompatibile, secondo alcuni, con la maternità surrogata) possa essere interpretato in contrasto con il diritto del bambino a vivere con chi lo abbia voluto come figlio.
Ma escludiamo per un attimo ciò che, evidentemente fa più problema (il mercimonio del corpo femminile) e consideriamo l’ipotesi di una gestazione surrogata motivata da ragioni altruistiche. In linea generale, non si potrebbe vietarla in nome del diritto del figlio alla coincidenza tra genitorialità biologica e sociale, dal momento che la Consulta ha già chiarito che l’affinità genetica non costituisce presupposto indefettibile di famiglia. Siamo certi, infatti, che l’interesse alla coincidenza tra genitorialità biologica e sociale meriti una tutela così forte da prevalere sulla possibilità stessa del figlio di esistere? Privare un bambino di questa possibilità, in nome non tanto del suo diritto alla ricostruzione della propria identità (che si può garantire nel rispetto degli altri diritti in gioco), quanto piuttosto della coincidenza tra identità genetica e identità sociale rischia di ridurre – in una concezione meramente biologista – la persona al suo dna. Non è, forse, questa, un’idea della filiazione eccessivamente naturalistica, che dovremmo invece temperare con una concezione della genitorialità come aspirazione a definirsi mediante la sollecitudine e la cura per l’altro?
È questa, d’altra parte la sostanza di un’importante sentenza della Corte suprema degli Stati uniti sulle unioni omosessuali. Ma, detto tutto ciò, resta una considerazione di metodo e di merito alla quale tengo in modo particolare: quella che ho appena espresso non è una posizione netta né definitiva. È il mio approccio alla questione e l’inizio di una riflessione, attraversata ancora da perplessità.