Pubblicato in 2022, Le notizie del portale a buon diritto il 12 dic, 2023
L’International Migrants School di Monteverde
L’inserto “La lettura delle ragazze e dei ragazzi” del “Corriere della sera” di domenica 8 ottobre, nella sezione reportage migrante, conteneva un articolo che mi colpito per il suo titolo e il suo occhiello: La scuola straniera invita gli italiani - L’istituto guidato dalla filippina Mila Nabur era nato per accogliere i figli delle colf di Roma: ora cercano di entrare i figli dei loro datori di lavoro.
A frequentare le scuole di Monteverde, quartiere residenziale romano dai colori tenui, non ci sono solo figlie e figli di medici, registi o professionisti italiani, ma anche quelli di molti lavoratori e lavoratrici domestiche stranieri.
L’International Migrants School (IMS), infatti, è nata per accogliere ragazze e ragazzi con background migratorio che in molti casi si sono ricongiunti da poco alla famiglia qui in Italia, che non conoscono bene la lingua italiana ma soprattutto che hanno vissuto con la scuola esperienze traumatiche, siano esse state nelle Filippine, in India o in Italia. L’IMS è una scuola straniera, è una scuola internazionale parificata in lingua inglese riconosciuta dal Miur che accoglie circa centrotrenta ragazzi che, dice la dirigente, diventano sempre di più.
Nel 2017 è nata con il nome Filipino Migrants School, ma poiché si è voluta aprire a studenti migranti di diverse nazionalità il nome è stato cambiato in International Migrants Schools.
Il tema delle seconde generazioni nella scuola italiana è sicuramente caldo, soprattutto per chi in classe ci lavora o coi ragazzi ci parla. Roma è una città multietnica, è meta di riscatto sociale e di desiderio di rivalsa. Purtroppo, richiedere tutto ciò alla meravigliosa ma talvolta malfunzionante capitale è particolarmente complesso. Perché creare un progetto dal basso per tutelare questi studenti? In che modo la scuola italiana può non incontrare totalmente i loro bisogni? osservando la realtà di questa scuola, ho potuto apprezzare la cooperazione tra studenti dell’ultimo anno, grade 12, e quelli del kindergarten (la scuola segue la modalità dell’educazione continua), il rispetto per gli spazi comuni, la comunicazione diretta coi professori , che li conoscono quasi uno per uno. La preside Mila, sicuramente sì. Con lei si ha l’impressione che possa conoscere i retroterra familiari, le difficoltà specifiche, le esigenze di tutti loro.
Gli insegnanti sono poco più di una decina, anche loro filippini e indiani, e talvolta viene coinvolto anche qualche italiano, come me. I genitori vanno a prendere i loro figli contenti di sapere che a scuola c’è una figura educativa che appartiene alla loro comunità, ma sono anche entusiasti e curiosi di sapere dagli insegnanti come se la cavano i loro figli con l’italiano.
L’attenzione nel mantenere tutte le differenti tradizioni dei singoli discenti è quindi fondamentale, ma anche imparare l’italiano è un obiettivo formativo a cui sia la dirigente che i genitori tengono molto.
Questi ragazzi sono delle figure di soglia: solitamente sono i figli a conoscere meglio la lingua del paese di migrazione, perché ci sono nati oppure perchè hanno più occasioni, data la loro età, di integrarsi. Invece, per la maggior parte degli studenti dell’IMS, il ricongiungimento con i genitori è avvenuto da poco. Qualche mese o qualche anno. La mamma o il papà o entrambi vivono qui da tempo, e loro sono cresciuti con una zia, uno zio, i nonni o qualcun altro, da cui improvvisamente si sono allontanati per vivere in un paese lontano insieme ai genitori, con i quali trascorrevano non più di qualche settimana insieme da molto tempo. Per questo, quel che sanno di italiano spesso gli è stato insegnato dai genitori che generalmente lavorano molte ore al giorno, svolgendo lavori di cura o domestici e spesso arrivano a Monteverde dai luoghi più lontani, da Fidene, Tiburtina, o ancora dalla periferia sud est. Viene però da chiedersi se frequentare il sistema scolastico italiano avrebbe fatto più male che bene a questi ragazzi che, in fin dei conti, all’IMS vivono un ambiente protetto all’interno delle loro comunità.
Si può provare ad analizzare la questione da un altro punto di vista, che tenga in considerazione diverse complessità del contemporaneo. A volte si dà per scontato che gli stranieri immigrati in Italia ci appartengano, In un certo senso gli permettiamo di stare qui, con noi. Gli studenti dell’IMS hanno una curiosità pura per la nostra cultura, ma probabilmente solo una percentuale di loro rimarrà in Italia. Alcuni torneranno nei loro paesi di origine, altri si muoveranno in altri stati. Gli indiani hanno vissuto un colonialismo inglese lunghissimo, i filippini hanno vissuto il colonialismo spagnolo, americano e in parte anche giapponese. Il loro sistema educativo è molto legato a quello degli Stati Uniti, il loro inglese è spesso fluente e può essere che nelle loro storie personali l’Italia sia solo una tappa del loro viaggio.
Veniamo alla lingua: essa può essere uno strumento difficile da acquisire per chi emigra. Lo è per i ragazzi che iniziano le scuole in Italia, e magari perdono un anno o due perchè non raggiungono gli obiettivi disciplinari a causa di un italiano ancora non fluente, e lo è per i genitori, che nel comunicare con i professori trovano un ostacolo e un impedimento. Quando ci si trasferisce in un altro paese , devono esserci tante sofferenze, disagi e intoppi che un minore è costretto ad affrontare. Tanta confusione. All’IMS, trovano un posto a cui appartenere, in cui sperimentare il rispetto per diverse comunità, dove conoscere l’Italia un passo alla volta. La ricchezza linguistica è soprendente. Il malayalam è una delle quasi quattrocento lingue parlate in India, diffusa soprattutto nello stato del Kerala. Ci sono poi gli indiani che parlano bengalese, che provengono dagli stati federati più vicini al Bangladesh. E il tagalog, musicalissima lingua elegante e intrisa di rispetto. Durante una lezione con i ragazzi delle classi più grandi, ho scoperto che nella loro lingua ci sono delle parole interessantissime, parole usate per definire legami che anche in Italia viviamo, ma non abbiamo una parola per esprimere. Ate, ad esempio, la sorella maggiore. Una parola usata per rivolgersi con affetto ad una figura cui è dovuto rispetto, amore e forse a volte troppe responsabilità.
Viene da chiedersi: chi nasce qui da genitori italiani è sicuramente italiano, ma chi nasce qui da genitori non italiani? Qualcuno che è stato nel paese di origine dei propri genitori un paio di volte per un paio di settimane al massimo. E chi è figlio di immigrati e frequenta l’IMS dopo essere stato bocciato alla scuola pubblica italiana? Magari dopo aver studiato sette anni nel nostro sistema scolastico. Chi invece arriva qui a cinque anni? E poi torna nel suo paese di origine per un paio di settimane ogni due o tre anni per tutta la vita?
Identità e appartenenza. Temi complessi, chi ha una risposta provi a darla, perché il mondo va veloce, le persone si spostano e quello che desiderano è essere felici, avere un buon lavoro, poter dare ai propri figli tutto quello che possono.
Perché, in fondo, cosa muove il mondo? Sicuramente per molti il sogno di una vita degna e libera.
L'approfondimento è stato realizzato da Rosa Rosanò in un contributo per il progetto LOOK UP, svolto da A Buon Diritto in collaborazione con Arcs Culture Solidali.