Pubblicato in 2015, Le notizie del portale a buon diritto il 14 lug, 2015
Aumento di pena per i furti, il ritorno delle carceri piene
Il Manifesto
14-07-2015
Stefano Anastasia e Luigi Manconi
È stata dura. E tuttavia, nei tempi richiesti dalla sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti umani, il sistema penitenziario italiano è tornato (quasi) in equilibrio. È stato questo il risultato dell’azione congiunta degli ultimi due ministri della Giustizia, del Parlamento, della Corte costituzionale e degli stessi operatori del sistema penale. E indubitabilmente decisivo è stato il ruolo del presidente emerito Giorgio Napolitano, dei Radicali Marco Pannella e Rita Bernardini, dell’associazionismo e di alcune rare e intrepide testate quale questa su cui scriviamo.
Ma i risultati conseguiti e l’approvazione ricevuta dal Consiglio d’Europa lo scorso anno sono appesi a un filo, sempre pronto a spezzarsi quando le pressioni di quel populismo penale che aveva prodotto il sovraffollamento penitenziario dovessero tornare a prevalere. La leadership leghista sulla destra all’opposizione ne è la condizione ideale: e non a caso negli ultimi mesi l’abbiamo vista tornare alla carica contro i migranti, i rom e ogni altro fantasma dell’insicurezza collettiva.
Nonostante qualche cedimento alle suggesstioni della penalizzazione simbolica, finora governo e parlamento hanno tenuto in qualche modo, evitando di riaprire i cordoni della incarcerazione di massa e mantenendo il sistema in quel precario equilibrio di cui si è detto.
E giustamente il Ministro Andrea Orlando ha messo in moto una procedura pubblica e partecipata di discussione sul futuro del nostro sistema penale e penitenziario che va sotto il nome di Stati generali: sanata la vergogna della condanna europea per violazione strutturale del divieto di trattamenti inumani o degradanti, come vogliamo che sia il sistema dell’esecuzione penale? Ancora carcerocentrico? Con quali diritti per le persone private della libertà? Con quali prospettive di reinserimento sociale dei condannati? Domande fondamentali che alludono a modelli diversi di sicurezza: una sicurezza fondata sull’esclusione della marginalità sociale o, all’opposto, una sicurezza fondata sull’integrazione sociale e la tutela universalistica dei diritti?
Non sembri velleitaria l’alternativa: in fondo la sentenza Torreggiani e la giurisprudenza umanitaria che si è affermata negli ultimi anni in molti Paesi occidentali hanno dichiarato il fallimento del modello di sicurezza propugnato dal salvinismo, che riproduce stancamente quello che prima di lui hanno detto e fatto i suoi predecessori locali, da Bossi a Fini, da Giovanardi a Maroni.
Un modello dai costi economici e sociali altissimi, incompatibile con la garanzia di standard minimi di rispetto dei diritti umani, insostenibile in regime di spending review.
Ma ecco che, in questo accaldato e soporifero stato di sospensione, un fulmine a ciel sereno si abbatte lì, a pochi centimetri dal nostro naso e dalle nostre aspettative. Fermi in mezzo al guado, intenti a orientare la bussola sull’altra riva, veniamo colti a bruciapelo dalla notizia di una nuova emergenza, annunciata dallo stesso governo per bocca del vice-ministro alla giustizia, Enrico Costa. Il quale propone di alzare i minimi di pena per i reati di furto in abitazione, furto con strappo e rapina. La motivazione dichiarata è quella di «riallineare l’attuale sistema sanzionatorio alla gravità dei fatti», quella implicita – evidente nella modifica dei minimi di pena — è di evitare che i condannati per questi reati possano godere di alternative al carcere.
Infine, la motivazione politica è di competere con Salvini sul suo stesso terreno elettorale (dove, fin troppo facile prevederlo, è lui che vincerà). Ma qui non siamo nel campo del diritto penale simbolico: furti, scippi e rapine sono i reati con cui si riempiono le galere e se l’intento del governo è che tutti, ma proprio tutti gli autori di questi reati, anche i ladri di polli, debbano andare in galera, il rischio è che le incarcerazioni tornino ad aumentare e, con esse, il sovraffollamento. E, allora, che li facciamo a fare, questi Stati generali dell’esecuzione penale?